LE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI CONTRASTO ALL’ASSENTEISMO E DI SCIOPERO PROPOSTE DALLA FIAT PER L’ACCORDO AZIENDALE DI POMIGLIANO NON VIOLANO LA LEGGE
Dichiarazione rilasciata all’Agenzia Ansa il 15 giugno 2010
Mi sembra che un rifiuto di sottoscrivere l’accordo proposto dalla Fiat a Pomigliano dovrebbe trovare motivazioni diverse rispetto a quelle che vengono addotte dalla Fiom-Cgil, fondate essenzialmente sulle clausole in materia di malattia e di sciopero: clausole che mi paiono entrambe molto ragionevoli e comunque non contrastanti con la legge oggi vigente in Italia
Sulla materia del trattamento economico del lavoratore assente per malattia, a carico del datore di lavoro, la sola norma legislativa generale oggi in vigore è l’articolo 2110 del Codice civile, che attribuisce alla contrattazione collettiva il compito di stabilire entità e limiti della retribuzione dovuta al lavoratore. Fino ai rinnovi contrattuali del 1972, quasi tutti i contratti collettivi prevedevano che il trattamento retributivo decorresse dal quarto giorno di assenza: i primi tre giorni – detti “di carenza” – costituivano dunque un periodo di franchigia, nel quale il lavoratore non era retribuito. Dal 1972 quasi tutti i contratti collettivi hanno previsto invece la retribuzione anche per i primi tre giorni; ma in numerose occasioni si sono registrate disposizioni collettive che, al fine di incentivare la riduzione delle assenze per malattia, hanno limitato il relativo trattamento, istituendo dei “premi di presenza”, oppure voci retributive escluse dal trattamento stesso.
In questo ampio spazio che la legge attribuisce alla contrattazione collettiva rientra sicuramente anche la possibile reintroduzione di uno o più giorni “di carenza”, collegati o no a determinate circostanze oggettive. E’ quanto propone la Fiat alle organizzazioni sindacali per lo stabilimento di Pomigliano d’Arco, con la disposizione n. 8 della bozza di accordo, che prevede il non pagamento della retribuzione nel caso in cui si verifichino dei tassi anomali di assenza dal lavoro “in occasione di particolari eventi non riconducibili a forme epidemiologiche”. La disposizione è strutturata in funzione di contrasto a forme di assenteismo abusivo che si sono registrate sovente nel recente passato, in occasione della trasmissione televisiva di importanti partite di calcio, oppure della proclamazione di scioperi.
A mio avviso, questa disposizione non contrasta con alcuna disposizione di legge. Certo, essa configura una deroga – seppur marginale – rispetto al contratto collettivo nazionale per il settore metalmeccanico, il quale non prevede eccezioni al pagamento dell’intera retribuzione nei primi tre giorni di malattia. Ma è pacifico in giurisprudenza e in dottrina che il contratto collettivo nazionale può essere validamente derogato da un contratto aziendale stipulato unitariamente da tutte le organizzazioni sindacali firmatarie del contratto nazionale stesso.
La disposizione n. 13 della bozza, denominata “clausola di responsabilità”, commina la decadenza da tutti i diritti previsti dal contratto collettivo nazionale di lavoro per l’organizzazione sindacale firmataria dell’accordo aziendale che proclami uno sciopero (o altra forma di agitazione) volto a “rendere inesigibili” le condizioni di lavoro previste nell’accordo stesso. Si tratta, in sostanza, di un patto di tregua sindacale, che è oggi considerato pacificamente valido e vincolante per il sindacato che lo stipula. La Fiom-Cgil contesta tuttavia la parte della disposizione che qualifica come illegittimo anche il comportamento dei singoli lavoratori i quali aderiscano allo sciopero (o altra forma di agitazione) proclamato in violazione del patto di tregua. A me sembra che, se la proclamazione dello sciopero è illegittima per violazione di un patto di tregua validamente sottoscritto dal sindacato proclamante, debba considerarsi illegittima anche l’adesione del lavoratore a quello sciopero: mi sembra pertanto che anche quest’ultima parte della disposizione proposta debba considerarsi pienamente valida.
E’ vero che su questo punto si registrano anche opinioni dottrinali contrarie (come quella di Luigi Mariucci e di Umberto Romagnoli, sull’Unità di oggi), nel senso che la clausola di tregua vincolerebbe soltanto il sindacato stipulante ma non i singoli lavoratori. Non condivido questa tesi, a sostegno della quale non può addursi alcun dato normativo positivo. (1)
Osservo, peraltro, che la pretesa inefficacia della clausola di tregua nei confronti dei singoli lavoratori priverebbe i lavoratori stessi e il sindacato che li rappresenta della principale “moneta di scambio” di cui essi dispongono al tavolo delle trattative. Non è un caso che in nessun altro ordinamento europeo si applichi una regola che esenti i singoli lavoratori da responsabilità per l’adesione a uno sciopero illegittimo.
(1) Luigi Mariucci e Umberto Romagnoli sostengono, a questo proposito, che la clausola di tregua appartenga soltanto alla c.d. “parte obbligatoria” del contratto collettivo, cioè a quella che disciplina i rapporti tra le parti collettive firmatarie del contratto stesso, e non alla c.d. “parte normativa”, che disciplina i rapporti individuali di lavoro (onde i singoli lavoratori – anche se iscritti al sindacato che ha stipulato la clausola di tregua – sarebbero sempre liberi di aderire a qualsiasi sciopero). Questa tesi non ha alcun fondamento testuale nella legge oggi vigente nel nostro Paese. A me sembra che un ragionamento sistematico conduca alla conclusione opposta: a questa tesi ho dedicato alcune pagine nel terzo volume del mio trattato su Il contratto di lavoro (Giuffrè, 2003) e nel quarto capitolo del mio libro A che cosa serve il sindacato, ora disponibile anche nella collana Oscar Bestsellers Mondadori (2006).