NON ABBIAMO BISOGNO DI LEGGI COME QUESTA, CHE RIDUCONO L’EFFETTIVITA’ DEL DIRITTO DEL LAVORO (SIA PURE SOLTANTO AL MARGINE), MA DI UN NUOVO DIRITTO DEL LAVORO, CAPACE DI ESSERE PIU’ EFFETTIVO E PIU’ UNIVERSALE
Quello che segue è il testo scritto della dichiarazione di voto di Pietro Ichino per il Gruppo PD, allegato al resoconto stenografico della seduta pomeridiana del Senato del 3 marzo 2010, nella quale il d.d.l. n. 1167-B è stato discusso in quarta lettura. E’ disponibile sul sito anche la trascrizione stenografica dell’intervento orale e degli altri interventi in Aula di Pietro Ichino, Enrico Morando e Tiziano Treu, nonché il contraddittorio con il Ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi e il relatore del d.d.l. n. 1167-B, Maurizio Castro. V. anche gli interventi di Pietro Ichino in Aula e in Commissione del 21 e 22 dicembre 2009 sui gravi difetti di tecnica normativa di questo disegno di legge e della Finanziaria 2010. Per la discussione al Senato dello stesso provvedimento legislativo in seconda lettura, v. gli interventi di Pietro Ichino e Tiziano Treu nelle sedute del 24, 25 e 26 novembre 2009.
Colleghi della maggioranza, voi sapete bene che non indulgo mai al malcostume fazioso di dire tutto il male possibile degli avversari: sono solito semmai guardare prima alle magagne di casa mia che a quelle di casa altrui. Potete dunque immaginare che ho riflettuto bene prima di dire quello che ho detto, come hanno fatto anche tanti altri colleghi dell’opposizione, in diversi interventi in quest’Aula quando abbiamo discusso questo disegno di legge in sede di seconda lettura. Ora la Camera dei Deputati ha ulteriormente peggiorato il suo contenuto.
Questo disegno di legge costituisce probabilmente la manifestazione più clamorosa della grave confusione di idee con cui vi accostate al compito difficile e delicato di riformare il nostro diritto del lavoro. Il vero guaio è che non vi limitate a non affrontare i veri nodi cruciali della riforma necessaria, ma intervenite in modo episodico, disorganico, senza alcun disegno riformatore chiaro, che non sia quello di erodere il più possibile le protezioni nell’area del lavoro debole, del lavoro di serie B o di serie C, accentuando il dualismo del nostro sistema, il regime di apartheid che separa i lavoratori protetti dai poco o per nulla protetti.
Basta leggere il titolo caotico che avete dato a questo disegno di legge per avere un’idea della sua disorganicità: quella disorganicità che con notevole senso dell’umorismo il relatore Maurizio Castro ha ribattezzato come “stratificazione normativa virtuosa”!
Nell’autunno scorso, quasi contemporaneamente – l’11 e il 12 novembre ‑, sono state rivolte al Governo due sollecitazioni per un ripensamento sul modo in cui si è fin qui legiferato, soprattutto ma non soltanto nella materia del lavoro: una dall’Unione europea, una dall’opposizione.
– L’Unione Europea, con il Decalogue for Smart Regulation emanato a Stoccolma ha invitato tutti i legislatori nazionali alla sobrietà e semplicità nella produzione delle norme legislative, alla cura della loro idoneità a essere lette e capite da tutti i loro destinatari (perché solo così, essendo conosciuta dai cittadini che devono applicarla, penetrando nella loro cultura diffusa, la norma giuridica può assolvere il proprio compito di fecondare il tessuto economico-sociale).
– L’opposizione, dal canto suo, ha presentato proprio qui, in Senato, per la prima volta da sessant’anni, un progetto di nuovo Codice del lavoro in 70 articoli, con abrogazione di centinaia di leggi che oggi compongono la disordinatissima disciplina di questa materia (mi riferisco ai disegni di legge n. 1872 e 1873 del 2009).
La maggioranza per un verso si è mostrata totalmente indifferente, impermeabile a questi due segnali. Per altro verso è andata avanti a testa bassa con questo disegno di legge-minestrone, di difficilissima lettura anche per gli addetti ai lavori, che costituisce davvero un esempio di scuola della cattiva qualità della legislazione!
Alcune cose, certo, si leggono e capiscono molto bene, in questo minestrone:
‑ è chiarissimo a tutti il modo regressivo in cui avete ritenuto di affrontare (nell’ottavo comma dell’art. 48) il problema della povertà dell’offerta educativa attuale del nostro sistema per i giovani quindicenni che non intendono proseguire gli studi: invece di adottare misure capaci di allinearci con i Paesi più progrediti d’Europa, avete compiuto la scelta rinunciataria di abbassare di nuovo l’età dell’obbligo scolastico dai 16 ai 15 anni, facendo retrocedere ulteriormente il nostro Paese in una graduatoria europea nella quale già siamo in una posizione niente affatto lusinghiera;
‑ solo per merito della battaglia dell’opposizione, in Parlamento e nel Paese, si è evitato in extremis che questa legge tornasse a imporre l’odiosa tassa sulla tutela giudiziale dei diritti dei lavoratori; ma è stato chiaro a tutti che, se fosse dipeso da voi, questa esenzione – dettata da elementari considerazioni di equità sociale – sarebbe stata abrogata;
‑ è altrettanto chiaro a tutti, tranne forse a chi ha pensato bene di inserire questa norma all’ultimo momento nel disegno di legge, l’enorme spazio che si apre a ogni genere di malversazione con la previsione della possibilità di compromettere in arbitri le controversie in materia di pubblico impiego (art. 31, 8° c.): al punto che nel momento stesso in cui questa norma viene varata, il Governo è costretto ad accogliere un ordine del giorno che lo impegna a emanare disposizioni per limitarne drasticamente l’applicazione;
‑ quanto all’arbitrato nelle controversie di lavoro del settore privato, anche un bambino capisce che consentire che vengano compromessi in arbitri sul piano individuale diritti derivanti da norme inderogabili di legge equivale a eliminare questa inderogabilità: basta scegliere un arbitro disposto a disapplicare la legge (il Presidente della nostra Commissione Lavoro, il senatore Giuliano, si affanna a obiettare, che l’arbitrato non è ammissibile nelle materie regolate da norme inderogabili di legge; e noi gli diamo piena ragione; ma evidentemente egli non si è accorto che questo disegno di legge proprio questo dispone: la compromettibilità in arbitri di qualsiasi controversia di lavoro: e tutti sappiamo che le controversie di lavoro nascono per lo più in riferimento all’applicazione di norme inderogabili di legge o di contratto collettivo).
C’era una cosa importante che andava fatta, in materia di arbitrato, e che abbiamo invano proposto e riproposto in sede di emendamento: consentire che i contratti collettivi disponessero la soluzione arbitrale delle controversie relative a diritti nascenti esclusivamente dai contratti collettivi stessi: questo sì che avrebbe segnato una svolta virtuosa, dimezzando il contenzioso giudiziale (tutte le vertenze in materia di retribuzione o di inquadramento professionale avrebbero potuto essere oggetto della clausola collettiva compromissoria! E vi ricordo che oggi in Italia il 47 per cento delle cause di lavoro riguarda proprio questioni retributive: avremmo potuto ridurre il contenzioso giudiziale di più della metà). Ma, incomprensibilmente, questa – che sarebbe stata la vera riforma da fare – la avete rifiutata. La cosa curiosa è che questa scelta è incomprensibile anche per voi, dal momento che non avete saputo indicare alcun motivo per questo rifiuto. E avete invece deciso di consentire la clausola compromissoria pattuita al livello individuale, nel contratto sottoposto a certificazione.
Norme come questa che state varando non verranno utilizzate dagli imprenditori seri (i quali non cercano scappatoie per aggirare i diritti dei loro dipendenti): norme come questa allargheranno ancora un poco gli spazi marginali di elusione del diritto del lavoro, e in questi spazi consentiranno di lucrare qualche rendita a qualche faccendiere in più. Non sono certo queste le riforme di cui il nostro sistema di relazioni industriali ha bisogno!
Ma quello che colpisce, in questo vostro modo di affrontare i mali che affliggono il nostro diritto del lavoro, sono gli esiti paradossalmente opposti a ciò che voi stessi vi proponete di conseguire, prodotti da questo che il senatore Castro magnifica come il metodo della “stratificazione normativa virtuosa”. Due soli esempi:
‑ incapaci di affrontare seriamente, organicamente, il problema dell’equilibrio tra libertà di impresa e responsabilità sociale dell’impresa, vi siete proposti un intervento furbesco di depotenziamento surrettizio del controllo giudiziale sulle scelte imprenditoriali in materia di giustificato motivo di trasferimento, licenziamento, organizzazione aziendale (sì, surrettizio: perché, altrimenti, nascondere un intervento di tanto rilievo sotto una rubrica elusiva e mendace, come quella che avete dato all’articolo 30: “Clausole generali e certificazione del contratto dilavoro”?); ma avete compiuto questo intervento in modo così maldestro, che nel terzo comma dello stesso articolo 30 siete riusciti a infilare una disposizione che estende oltre ogni limite la discrezionalità del giudice, consentendogli di ergersi a unico interprete nientemeno che dell’“interesse oggettivo dell’organizzazione aziendale”! In questo modo avete definitivamente espropriato non solo le imprese, ma il sistema stesso delle relazioni industriali, di ogni autonomia, attribuendo ai giudici del lavoro un ruolo che non è attribuito loro in nessun altro Paese occidentale. Voi sapete bene che le cose stanno così, perché avete ricevuto le manifestazioni di preoccupazione e di protesta non solo delle organizzazioni sindacali, ma anche delle associazioni imprenditoriali, della stessa Confindustria. Bel risultato della “stratificazone normativa virtuosa”! Che cosa risponde su questo punto, senatore Castro?
‑ Ancora peggiore è il pasticcio che siete riusciti a combinare con il quinto comma dell’art. 32, col quale vi proponevate di sostituire la sanzione della conversione del contratto a termine invalido in contratto a tempo indeterminato con una sanzione meramente pecuniaria, indennitaria: con questo modo disorganico e tecnicamente sprovveduto di legiferare siete riusciti a compiere il capolavoro di non rimuovere affatto la conversione in contratto a tempo indeterminato, ma di sommare alla vecchia sanzione reintegratoria un’ulteriore sanzione indennitaria, che rischia – del tutto irrazionalmente – di creare delle voragini in molti bilanci aziendali. Anche questo un risultato della “stratificazone normativa virtuosa” di cui andrete fieri, senatore Castro?
Colleghi della maggioranza, credetemi: questi 50 articoli che state aggiungendo alle duemila pagine del nostro vetusto codice del lavoro non fanno fare al nostro tessuto produttivo alcun passo avanti, mentre ne fanno fare alcuni indietro: sono soltanto sabbia negli ingranaggi. La speranza è che quando – temo fra poco tempo – anche voi sarete costretti a darci atto che avevamo ragione, almeno allora rinuncerete al metodo della “stratificazione normativa” che entusiasma tanto il senatore Castro, e incomincerete finalmente a chiedervi quale possa essere un disegno organico credibile del nuovo diritto del lavoro per l’uscita dalla crisi, del diritto del lavoro per le nuove generazioni. Per i nostri figli, che, oggi, il diritto del lavoro non lo vedono neppure di lontano.
In attesa che apriate gli occhi, noi, ovviamente, non possiamo che votare contro questo quest’ultimo brutto capitolo della stagione delle mancate riforme del mercato del lavoro.