UN CAPITOLO NUOVO ASSAI RILEVANTE DEL NOSTRO DIRITTO DEL LAVORO – SI ESTENDONO AI LIBERI PROFESSIONISTI LA PROTEZIONE CONTRO GLI ABUSI DI POSIZIONE DOMINANTE E ALCUNE MISURE DI WELFARE – SI PROMUOVE IL LAVORO DIPENDENTE ESENTE DAL VINCOLO DEL COORDINAMENTO SPAZIO-TEMPORALE (MA CON QUALCHE ECCESSO DI REGOLAZIONE)
Testo originario del disegno di legge n. 2233/2016 e (a fronte) testo trasmesso dalla Commissione Lavoro del Senato all’Aula il 31 luglio 2016, con mia scheda tecnica sui contenuti, 3 agosto 2016 – In argomento v. anche Il lavoro parasubordinato organizzato dal committente, contributo all’interpretazione dell’articolo 2 del d.lgs. n. 81/2015, che ha ridisegnato il confine tra l’area di applicazione del lavoro dipendente e quella del lavoro autonomo
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del d.d.l. n. 2233/2016 con testo a fronte elaborato dalla Commissione Lavoro
NOTA TECNICA SUL CONTENUTO DEL TESTO LEGISLATIVO
E LE MODIFICHE APPORTATE DALLA COMMISSIONE
Il 26 luglio scorso la Commissione Lavoro del Senato ha terminato l’esame in sede referente del disegno di legge n. 2233, Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato. Qui di seguito una sintesi dei contenuti del provvedimento, che verrà esaminato dall’Aula del Senato nell’autunno prossimo e che, se approvato anche dall’altro ramo del Parlamento, aprirà un capitolo nuovo assai rilevante del nostro diritto del lavoro.
Capo I – TUTELA DEL LAVORO AUTONOMO
L’articolo 1 ne definisce il campo di applicazione facendolo coincidere con l’area del lavoro autonomo definita dall’articolo 2222 del Codice civile, ma ricomprendendovi anche i rapporti oggetto di disciplina speciale nel Libro IV dello stesso Codice (come il contratto di agenzia). Per rendere più chiaro quest’ultimo intendimento del legislatore occorrerà apportare in Aula un perfezionamento della formulazione della norma, sul quale c’è già un ampio accordo. Il secondo comma dell’articolo conferma l’esclusione dal campo di applicazione della legge dei piccoli imprenditori.
L’articolo 2 estende ai contratti tra imprese e lavoratori autonomi, o dei lavoratori autonomi tra loro, la disciplina relativa al pagamento del corrispettivo contenuta nel d.lgs. n.9 ottobre 2002 n. 231, mirata a contrastare gli abusi di posizione dominante tipicamente commessi dai committenti dotati di maggiore forza.
L’articolo 3 vieta le clausole che attribuiscono al committente la facoltà di modificare unilateralmente le condizioni contrattuali, o, “nel caso di contratto avente a oggetto una prestazione continuativa, di recedere da esso senza congruo preavviso”. Vieta inoltre la pattuizione di termini di pagamento del corrispettivo superiori ai sessanta giorni dal ricevimento della fattura o dalla richiesta del pgamento stesso. Un quarto comma aggiunto dalla Commissione estende ai rapporti contrattuali con i lavoratori autonomi il divieto di abuso di dipendenza economica di cui all’articolo 9 della legge 18 giugno 1998 n. 192: così confermandosi questa disposizione come trait d’union fra diritto commerciale e diritto del lavoro.
L’articolo 4 disciplina la materia delle invenzioni compiute dal lavoratore, stabilendo, in analogia con quanto stabilito per il lavoro dipendente, che i diritti di utilizzazione economica dell’invenzione appartengono al lavoratore, salvo che l’attività inventiva stessa abbia costituiro oggetto del contratto.
L’articolo 5, introdotto nel testo dalla Commissione in accoglimento di un emendamento del Relatore, delega il Governo a emanare entro un anno uno o più decreti legislativi mirati a consentire l’attribuzione di compiti propri di amministrazioni pubbliche agli iscritti ad alcuni ordini professionali: per esempio compiti di certificazione, assistenza delle parti nella conciliazione di controversie.
L’articolo 6, questo pure introdotto nel testo dalla Commissione in accoglimento di un emendamento del Relatore, delega il Governo a emanare entro un anno uno o più decreti legislativi mirati a consentire che, entro limiti e sotto condizioni determinate, gli enti di previdenza dei liberi professionisti eroghino prestazioni s0ciali, finanziate da apposita contribuzione, “con particolare riferimento agli iscritti che hanno subito una significativa riduzione del reddito professionale per ragioni non dipendenti dalla propria volontà o che siano stati colpiti da gravi patologie”. Su questa disposizione, per la parte relativa all’indennizzo dei professionisti nel caso di “significativa riduzione del reddito”, in Commissione sono state sollevate da diverse parti forti perplessità, in considerazione della facilità con cui un libero professionista può concentrare la percezione dei propri compensi in un esercizio, facendo figurare una brusca riduzione in quello successivo (la speranza è che in sede di adempimento della delega il Governo disciplini la materia nel modo più rigoroso, per prevenire le – altrimenti troppo facili – frodi).
L’articolo 7, aggiunto dalla Commissione, riunisce disposizioni contenute nell’articolo 9 del testo originario – qui assorbito – e altre contenute in alcuni emendamenti. La più rilevante di queste è costituita dalla istituzione, a carico della “Gestione separata” dell’Inps (quella, cioè, cui sono iscritti i lavoratori autonomi privi di una cassa di previdenza di settore), di un trattamento economico per congedo parentale, per un periodo massimo di sei mesi, a favore dei genitori di bambino fino ai suoi tre anni di età.
L’articolo 8 (articolo 5 nel testo originario) modifica l’articolo 54, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi (d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917), consentendo la deduzione integrale dal reddito imponibile:
. a) entro il limite di 10.000 euro annui, delle spese per l’iscrizione a master e a corsi di formazione o di aggiornamento professionale e delle spese di iscrizione a convegni e congressi;
. b) entro il limite di 5.000 euro annui, delle spese sostenute per i servizi personalizzati di certificazione delle competenze, nonché per servizi di orientamento, assistenza intensiva nella ricerca di nuova occupazione e sostegno dell’autoimprenditorialità (si tratta dell’equivalente dei servizi che, per i lavoratori dipendenti, sono remunerati mediante l’assegno di ricollocazione di cui all’articolo 23 del d.lgs. n. 150/2015;
. c) senza limiti, degli oneri di assicurazione contro il rischio di mancato pagamento dei compensi per il lavoro prestato.
Viene invece abrogata la deducibilità delle spese di viaggio e soggiorno in località diverse dalla sede di lavoro.
L’articolo 9 (articolo 6 nel testo originario) impone ai Centri per l’Impiego di dotarsi di uno sportello dedicato all’incontro fra domanda e offerta di lavoro autonomo (disposizione, questa, funzionale soprattutto a quanto previsto nell’articolo immediatamente successivo circa l’accesso dei lavoratori autonomi alle gare per servizi bandite da enti pubblici). Si prevede, a tal fine, anche la possibilità di stipulazione di convenzioni non onerose con gli ordini professionali, con le associazioni di lavoratori autonomi privi di ordine professionale, costituite a norma della legge 14 gennaio 2013 n. 4, o comunque con associazioni di lavoratori autonomi comparativamente maggiormente rappresentative nel settore professionale specifico.
L’articolo 10, aggiunto dalla Commissione in accoglimento di un emendamento del Relatore, delega il Governo a emanare entro un anno una disciplina speciale in materia di sicurezza e tutela della salute negli studi professionali, che tenga conto delle condizioni ed esigenze peculiari degli studi stessi.
L’articolo 11 nella sua formulazione originaria (contenuta nell’articolo 7 del testo proposto dal Governo) prevedeva che le amministrazioni pubbliche promuovessero – avvalendosi dei nuovi “sportelli” aperti presso i CpI a norma dell’articolo 6 – la partecipazione anche dei lavoratori autonomi alle gare per l’aggiudicazione di appalti per opere e servizi. Questo riferimento all’appalto poteva apparire fuori luogo, dal momento che il contratto di appalto ha per oggetto una prestazione di impresa: una prestazione, cioè, che richiede un insieme organizzato di persone e mezzi materiali, costituente il tratto distintivo dell’imprenditore rispetto al lavoratore autonomo. Più appropriato appare il riferimento alle gare indette da amministrazioni pubbliche per l’assegnazione di commesse per servizi di consulenza o ricerca, o comunque per opere o attività che non richiedano necessariamente una organizzazione imprenditoriale. La Commissione Lavoro ha deciso – accogliendo un mio emendamento – di integrare la formulazione dell’articolo, ricomprendendovi sia gli appalti (potendosi pensare che a questi siano interessate anche società di ingegneria, o formate da lavoratori autonomi di altri settori), sia gli altri incarichi aventi per oggetto servizi di consulenza o ricerca suscettibili di essere svolti da lavoratori autonomi in senso proprio, cioè prevalentemente con la propria opera personale. L’ANCE manifesta in proposito la preoccupazione che questo emendamento favorisca, nel settore edile, una “fuga” indebita dal lavoro subordinato, con la trasformazione di lavoratori dipendenti in altrettante “partite IVA”: donde la richiesta di soppressione di questo articolo. Il comma 2 sancisce l’equiparazione, ai fini della partecipazione ai bandi del Fondo Sociale Europeo e del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, dei lavoratori autonomi alle piccole e medie imprese: disposizione che allinea per questo aspetto il nostro ordinamento nazionale a quello europeo, che non conosce la distinzione tra lavoratore autonomo e piccolo imprenditore. La Commissione ha infine aggiunto un comma 3, che, sempre ai fini della partecipazione ai bandi di cui sopra, consente ai lavoratori autonomi la partecipazione a reti di imprese (che diventano così reti miste), la costituzione di consorzi professionali stabili, o la costituzione di associazioni professionali temporanee.
L’articolo 12 (articolo 8 nel testo originario, rimasto invariato), modificando l’articolo 64 del testo unico su maternità e paternità (d.lgs. n. 151/2001), stabilisce la regola per cui le lavoratrici autonome iscritte alla Gestione separata dell’Inps hanno il diritto di percepire l’indennità di maternità spettante per i due mesi antecedenti il parto e i tre mesi successivi anche se in questo periodo non si astengono dall’attività lavorativa. Questa disposizione assume un significato assai rilevante sul piano sistematico, imponendo che venga prima o poi debitamente motivata la disparità che in questo modo si determina fra la disciplina applicabile alla lavoratrice autonoma e quella applicabile alla lavoratrice dipendente, alla quale la prosecuzione dell’attività lavorativa è invece inibita: anche quest’ultima – soprattutto quando svolge mansioni professionalmente più elevate – può avere un marcato interesse a non interrompere la propria attività, pur in prossimità del parto.
L’articolo 13 (articolo 10 nel testo originario) sancisce, pur con una formulazione tecnicamente non ineccepibile, due regole distinte in materia di malattia, infortunio e gravidanza della persona titolare di contratto di lavoro autonomo:
. a) la prima è quella per cui il rapporto contrattuale, quando ha per oggetto una prestazione a carattere continuativo (cioè una attività di servizio e non l’esecuzione di un’opera, indivisibile in ragione del tempo), non cessa automaticamente a causa dell’impedimento personale, bensì prosegue, potendo il prestatore scegliere – laddove la cosa sia materialmente possibile – di proseguire l’esecuzione della prestazione;
. b) la seconda è quella per cui, in presenza di uno degli impedimenti personali indicati, il prestatore ha la facoltà di chiedere la sospensione del rapporto, senza diritto al corrispettivo qualora questo sia commisurato all’estensione temporale della prestazione, purché l’impedimento non faccia “venire meno l’interesse del committente”. Quest’ultima precisazione è stata introdotta dalla Commissione, a temperamento della rigidità della formulazione originaria della disposizione. Così, per esempio, l’editore non potrà negare la sospensione della prestazione al redattore ingaggiato come collaboratore autonomo; ma il committente malato potrà invece rifiutare la sospensione dell’assistenza del medico o dell’infermiere, quando la malattia richieda una assistenza ininterrotta; e il committente interessato all’esecuzione di un’opera edilizia potrà rifiutare la sospensione della prestazione del direttore dei lavori, quando essa comporti il blocco di un intero cantiere. Se la formulazione della norma resta invariata, spetterà al giudice la valutazione circa l’apprezzabilità dell’interesse del committente: il che può dare luogo a un aumento del contenzioso su questa materia.
Il comma 2 dell’articolo, aggiunto dalla Commissione in accoglimento di un emendamento del M5S, prevede che, con il consenso del committente, in caso di maternità la lavoratrice autonoma si faccia sostituire o affiancare nello svolgimento della prestazione da familiari o associati. Il comma 3 prevede, per il caso di malattia o infortunio che costituiscano impedimento alla prestazione, la sospensione dell’obbligo contributivo per il periodo massimo di due anni, salvo pagamento rateale degli stessi nell’arco di un periodo doppio.
L’articolo 14 (articolo 12 nel testo originario) interviene sulla nozione di collaborazione continuativa coordinata, cui il Codice di procedura civile (art. 409/3) fa riferimento per ricomprendere le controversie relative a rapporti di questo genere nel campo di applicazione del rito speciale del lavoro. La scelta a mio avviso preferibile sarebbe stata quella di applicare il rito del lavoro a tutte le controversie in materia di lavoro personale, subordinato o autonomo che esso sia. Una scelta più ancorata all’assetto tradizionale della materia sarebbe stata quella di coordinare la norma processuale con quella sostanziale, ora contenuta nell’articolo 2 del del d.lgs. n. 81/2015, che ha ridisegnato il confine tra l’area di applicazione del lavoro dipendente e quella del lavoro autonomo, assumendo come nuovo criterio distintivo l’assoggettamento della prestazione al potere del committente di coordinamento spazio-temporale. Il disegno di legge governativo, invece, detta una definizione a sé stante della nozione di collaborazione coordinata autonoma: rientra in questa nozione il rapporto nel quale, nonostante le parti abbiano concordato un qualche coordinamento della prestazione rispetto al resto dell’azienda del committente, al prestatore residua un qualche spazio di auto-organizzazione. Se la disposizione resterà invariata nel testo definitivo, sarà importante chiarire che essa ha attinenza soltanto alla materia processuale e non incide in alcun modo sulla linea di confine del campo di applicazione del diritto del lavoro dipendente, stabilita dal citato decreto n. 81/2015.
Capo II – LAVORO AGILE
Il primo comma dell’articolo 15 (articolo 13 nel testo originario), definisce questa nuova nozione, è stato riscritto dalla Commissione in modo tecnicamente assai discutibile. La definizione ne risulta suddivisa in due periodi, che dicono la stessa cosa prima in forma più generica, poi in forma più precisa. Il primo indica come elemento essenziale lo svolgimento della prestazione, in forza di accordo tra le parti, “senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro” (l’ulteriore espressione “con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici” è del tutto priva di qualsiasi valenza definitoria). Il secondo, cui va riconosciuta una maggiore efficacia e incisività definitori, indica come elemento essenziale il fatto che la prestazione venga eseguita “in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale”. Sarebbe auspicabile una semplificazione della norma definitoria, che ne limiti il contenuto a questo secondo periodo.
I commi 2 e 4 dello stesso articolo 15 affermano, con formulazione ridondante e pleonastica, due cose del tutto ovvie: cioè, rispettivamente, che “il datore di lavoro è responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell’attività lavorativa”; e che gli incentivi fiscali e contributivi previsti, a determinate condizioni, per il rapporto di lavoro subordinato si applicano, alle stesse condizioni, anche quando esso si svolge con la modalità del “lavoro agile”. Altrettanto pleonastico – considerato il rinvio aperto alla disciplina generale del rapporto di lavoro già contenuto nell’articolo 2 del testo unico per l’impiego pubblico (d.lgs. n. 165/2001) – costituisce il contenuto del comma 3, a tenore del quale le disposizioni di questo capo si applicano anche nei rapporti di lavoro alle dipendenze di amministrazioni pubbliche. La Commissione ha respinto un mio emendamento che, confermando una volta per tutte l’applicabilità al “lavoro agile” di tutta la disciplina propria del lavoro subordinato, avrebbe consentito di eliminare questi due commi e numerose altre disposizioni successive, costituenti specificazioni non necessarie della regola generale. La sola disposizione del testo originario che su mia proposta è stata soppressa è quella in tema di “protezione dei dati, custodia e riservatezza” (articolo 17, secondo la prima numerazione); sono state invece mantenute diverse altre disposizioni pleonastiche, delle quali do conto qui di seguito. Tutti si dicono d’accordo sul principio della semplificazione, ma al dunque prevale la tendenza del legislatore a legiferare più del necessario e a… rilegificare senza necessità il già legificato, col solo risultato di complicare la vita alle amministrazioni pubbliche e agli operatori privati, aumentando i costi di transazione e di gestione del rapporto di lavoro.
Il comma 1 dell’articolo 16 (articolo 14 nel testo originario) impone la forma scritta per l’accordo relativo alla modalità del lavoro agile; ma, in accoglimento di un mio emendamento, stabilisce che questo requisito di forma è posto non ad substantiam, bensì ai soli fini della regolarità amministrativa e della prova. Lo stesso primo comma richiede che l’accordo individui i tempi di riposo del lavoratore nei periodi in cui la prestazione è sottratta all’ordinario coordinamento spazio-temporale, nonché (anche qui in accoglimento sostanziale di un mio emendamento, con riformulazione del Relatore) “le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”. Se la disposizione entrerà in vigore, sarà il primo riconoscimento esplicito nel nostro ordinamento del diritto alla disconnessione, come limite alla valida pattuizione di un obbligo di reperibilità del lavoratore fuori dell’orario di lavoro.
Il comma 2 dell’articolo 16 precisa che l’accordo individuale istitutivo della modalità del lavoro agile può essere a termine o a tempo indeterminato; e che in quest’ultimo caso ciascuna delle parti può liberamente esercitare la facoltà di recesso dall’accordo, dandone all’altra parte un preavviso non inferiore – salvo giustificato motivo di urgenza – a 30 giorni (termine aumentato a 90 giorni per i lavoratori disabili).
L’articolo 17 (articolo 15 nel testo originario) contiene altre due disposizioni totalmente pleonastiche. Al comma 1 la norma che sancisce la parità di trattamento retributivo per il lavoro agile rispetto al trattamento riservato agli altri dipendenti dell’azienda, a parità di mansioni. Al comma 2 quella che consente alle parti di attribuire al lavoratore “agile”, nell’accordo di cui all’articolo 16 (qui c’è un difetto di coordinamento nel testo ufficiale pubblicato dal Senato, dove viene ancora indicato l’articolo 14, secondo la numerazione del testo originario) un “diritto all’apprendimento permanente”: come se questa pattuizione non fosse pacificamente ammessa in qualsiasi momento e sede, in riferimento al qualsiasi rapporto di lavoro.
Altra disposizione pleonastica è quella contenuta nei commi 1 e 2 dell’articolo 18 (articolo 16 nel testo originario), che attribuiscono all’accordo individuale istitutivo della modalità del lavoro agile rispettivamente: a) il compito di disciplinare “l’esercizio del potere di controllo del datore di lavoro sulla prestazione resa dal lavoratore all’esterno dei locali aziendali nel rispetto di quanto disposto dall’articolo 4″ dello Statuto dei lavoratori; b) il compito di individuare eventuali comportamenti particolari tenuti dal lavoratore fuori dei locali aziendali che possano costituire mancanze disciplinari. Mi correggo: occorre sperare che questa disposizione sia soltanto pleonastica, cioè non aggiunga e non tolga nulla di quanto già si potrebbe pacificamente desumere dall’ordinamento generale: vedo altrimenti il rischio che qualche giuslavorista particolarmente creativo si spinga a desumere dalla nuova norma una sorta di decadenza del datore di lavoro dal potere ordinario di controllo, e/o dal potere disciplinare, quando l’accordo ometta di dettare una disciplina specifica. Così, per esempio, non mi stupirebbe se qualcuno si spingesse a sostenere che nell’accordo vada specificamente precisata la praticabilità del controllo a distanza nei limiti consentiti dall’articolo 4 St.lav., sotto pena di perdita del relativo potere da parte del datore; oppure che vada specificamente precisata l’applicabilità dell’obbligo di segreto aziendale in capo al lavoratore anche in relazione alla parte di prestazione svolta fuori dall’azienda, essendo altrimenti il lavoratore agile svincolato da quell’obbligo.
Pleonastico sarebbe anche l’articolo 19 (articolo 18 del testo originario), che sancisce il diritto alla salute e sicurezza del lavoratore anche nel rapporto di lavoro agile, se non fosse che qui invece viene introdotta una regola non desumibile dall’ordinamento generale, a mio avviso del tutto inutile al fine della protezione della salute e sicurezza, ma dannosa per lo sviluppo di questa modalità di lavoro. La disposizione, infatti, aggiunge un adempimento burocratico a carico del datore di lavoro, che nelle imprese di piccole dimensioni è destinato a tradursi in un costo aggiuntivo non irrilevante, per la consulenza necessaria in funzione dell’adempimento: l’obbligo di consegnare “al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro”. Nella discussione che su questo punto si è svolta in Commissione e fuori nessuno ha saputo spiegarmi quali possano essere i “rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto”, cioè aggiuntivi rispetto ai rischi generali e a quelli specifici cui il lavoratore è esposto quando svolge la prestazione nei locali dell’azienda, già come tali individuati nella valutazione dei rischi già periodicamente compiuta in riferimento all’intera azienda e quindi in riferimento a ciascuna posizione di lavoro in seno a essa. Certo, un rischio specifico potrà essere ravvisato in relazione a luoghi particolari nei quali la persona interessata decida di svolgere la prestazione: se, per esempio, essa sceglie di lavorare in un luogo malsano o pericoloso, questo la esporrà a un rischio specifico; ma di questo rischio specifico non si può tenere responsabile il datore di lavoro, nel momento stesso in cui si riconosce la piena legittimità (e anzi ci si propone di promuovere la diffusione) dell’accordo che attribuisce al dipendente una piena libertà di scelta del luogo e dell’orario della propria prestazione entro determinati segmenti della settimana, del mese o dell’anno.
Il comma 1 dell’articolo 20 (articolo 19 nel testo originario, rimasto invariato all’esito dell’esame da parte della Commissione in sede referente) stabilisce che il datore di lavoro è tenuto alla comunicazione dell’accordo individuale sul lavoro agile alla sezione circoscrizionale per l’impiego, come se si trattasse di una nuova assunzione: un ulteriore adempimento burocratico, con conseguente rischio di sanzioni, che si aggiunge al duplice adempimento imposto dall’articolo precedente. Scelta che non appare del tutto coerente con l’intendimento iniziale del disegno di legge, nel senso della promozione della diffusione di questa modalità di lavoro; e ancor meno con l’impegno sempre da tutti unanimemente ribadito nel senso della semplificazione normativa e gestionale.
Il comma 2 dello stesso articolo aggiunge che il lavoratore agile ha diritto all’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali “dipendenti da rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all’esterno dei locali aziendali”. L’intendimento che ha mosso il Governo a inserire questa disposizione nel disegno di legge, e la Commissione a non modificarla o eliminarla, è quello di eliminare la preoccupazione per i possibili infortuni, che avrebbe l’effetto di indurre i datori di lavoro a restringere le possibilità di lavoro agile: estendere l’assicurazione generale obbligatoria Inail all’infortunio accaduto fuori dal perimetro aziendale significa eliminare questa preoccupazione. Senonché questo porta con sé anche un ampliamento del rischio coperto dall’Inail; e a rendere questo ampliamento più oneroso per l’Istituto concorre il moral hazard: la possibilità, cioè, che qualsiasi infortunio stradale occorso al lavoratore agile venga opportunisticamente trasformato in un “infortunio in itinere“, equiparato all’infortunio sul lavoro, sulla base della mera autodichiarazione della persona interessata circa il fatto che essa si stava recando al luogo dove intendeva svolgere la prestazione. Per limitare questa possibilità, il comma 3 precisa che “Il lavoratore ha diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro occorsi durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello prescelto per lo svolgimento della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali, nei limiti e alle condizioni di cui al terzo comma dell’articolo 2 del testo unico delle disposizione per l’assicurazione obbligatoria […], quando la scelta del luogo della prestazione sia dettata da esigenze connesse alla prestazione stessa o dalla necessità del lavoratore di conciliare le esigenze di vita con quelle lavorative e risponda a criteri di ragionevolezza” (la norma qui richiamata – art 2 della legge n. 1124/1965 – precisa che il sinistro può essere qualificato come “infortunio in itinere” coperto dall’assicurazione anche se accaduto mentre l’assicurato viaggiava sul suo mezzo privato, purché l’uso di questo mezzo fosse “necessitato”: cioè non fosse possibile utilizzare un mezzo pubblico). Spero di sbagliarmi, ma prevedo che questa limitazione non varrà a ridurre più che tanto l’abuso della copertura assicurativa; col risultato che gli infortuni in itinere in cui incorreranno i lavoratori agili si moltiplicheranno e il premio assicurativo crescerà. Per altro verso, non si può non considerare che il c.d. “rischio elettivo” (per es.: il lavoratore agile decide di recarsi, per lo svolgimento della propria prestazione, in un luogo di montagna raggiungibile soltanto con una strada dissestata e pericolosa, perché lì è in villeggiatura la sua famiglia), proprio in quanto liberamente scelto, è un rischio che non dovrebbe essere coperto dall’assicurazione generale obbligatoria. Infine, non si vede quale possa essere il rischio aggiuntivo specifico intrinsecamente riconducibile alla modalita particolare del lavoro agile, se non quello inerente allo spostamento cui il lavoratore decida liberamente di sottoporsi.
Assai meglio sarebbe, dunque, che la legge mettesse tranquilli i datori di lavoro col precisare che non potrà in alcun caso essere imputato a loro l’infortunio accaduto al prestatore nel recarsi (del tutto liberamente) a lavorare fuori del proprio domicilio abituale; e al tempo stesso escludesse che quell’infortunio possa essere qualificato come infortunio in itinere ai fini dell’assicurazione Inail, Questo, oltretutto, consentirebbe di evitare la necessità della comunicazione obbligatoria dell’accordo individuale per il lavoro agile all’autorità amministrativa competente (di cui all’articolo 20), così evitandosi un aggravio burocratico certamente poco in linea con la ratio dichiarata del provvedimento legislativo.
Capo III – DISPOSIZIONI FINALI
L’articolo 21 contiene disposizioni finanziarie, di cui in questa sede può essere omesso l’esame.
L’articolo 22 azzera il periodo di vacatio legis, prevedendo l’entrata in vigore nel giorno successivo a quello della pubblicazione della legge sulla Gazzetta Ufficiale. Opzione, questa, che compare ormai in numerosissime leggi, anche di natura ordinamentale come questa; ma quando – come in questo caso – non sussiste alcun vero motivo di urgenza bruciante, perché non lasciare che passino i quindici giorni della vacatio legis ordinaria, così da consentire una informazione capillare preventiva degli uffici per via amministrativa, e delle imprese attraverso i media, circa il giorno esatto di entrata in vigore del provvedimento?
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