HA FATTO BENE IL GOVERNO A RESPINGERE LA PROPOSTA DEL PRESIDENTE DELL’INPS: QUALI SONO I SUOI VERI CONTENUTI E PERCHÉ BATTERE QUELLA STRADA NON È LA COSA MIGLIORE DA FARE OGGI
Articolo di Giampaolo Galli pubblicato su l’Unità del 9 novembre 2015 – In argomento v. anche il mio editoriale telegrafico del giorno precedente, Perché Renzi dice di no a Boeri.
A differenza di quanto è stato scritto in questi giorni, la proposta Inps di riforma del sistema pensionistico non contiene il ricalcolo delle pensioni sopra i 3.500 euro lordi secondo il metodo contributivo. Questa è probabilmente una buona notizia dal momento che, come alcuni vanno ripentendo da anni, questo ricalcolo è concettualmente iniquo e praticamente inattuabile. È iniquo perché al 90enne di oggi glielo si sarebbe dovuto dire 40 anni fa che avremmo fatto questo ricalcolo, in modo da dargli il tempo e la possibilità di fare scelte di vita diverse riguardo a lavoro, età di pensionamento e risparmio. Il ricalcolo è inattuabile perché non esistono i dati retrospettivi sui contributi e non si possono obbligare i pensionati a rintracciare cedolini di 50 o anche 70 e più anni addietro. Evidentemente i collaboratori di Tito Boeri all’Inps lo devono aver convinto della materiale correttezza di questi banali argomenti. Per la precisione, la proposta di ricalcolo con il sistema contributivo fa ancora capolino, ma solo con riferimento alle cariche elettive (art 12, c. 10 della proposta pubblicata sul sito Inps).
Messo da parte il metodo contributivo, per le pensioni sopra 3.500 euro l’Inps propone in sostanza una penalizzazione, di circa il 3% l’anno, basata esclusivamente sulla differenza fra l’età anagrafica a cui uno è andato in pensione e l’età di pensionamento “normale o di riferimento” a una certa data. Ad esempio, una persona che sia andata in pensione a 60 anni si vedrebbe decurtata la pensione di circa il 18%, posto che oggi l’età “normale” di pensionamento è 66 anni e 3 mesi. È questo, semplificando un po’, il senso del criptico art. 12 comma 1 della proposta. La penalizzazione si riduce gradualmente andando indietro nel tempo: all’inizio degli anni ‘80 l’età normale era di 63 anni, quindi una persona che fosse andata allora in pensione a 63 anni (oggi ne avrebbe 98) non subirebbe alcuna decurtazione. Ma se quello stesso 98enne fosse andato in pensione a 55 anni subirebbe oggi una decurtazione di oltre il 20%. La penalizzazione avviene immediatamente per le pensioni sopra i 5.000 euro e gradualmente, attraverso il blocco dell’indicizzazione, per le pensioni fra 3.500 e 5.000 euro.
È evidente che questa proposta taglia le pensioni in essere, come una tassa, ma non realizza l’equità intergenerazionale che non può che essere basata sui contributi effettivamente versati. In più, crea nuove distorsioni e fonti di contenzioso: può accadere che si tagli una pensione interamente guadagnata con i contributi versati e non se ne tagli una affatto coperta dai contributi. L’età di pensionamento è infatti solo una delle variabili che influenzano il montante contributivo di una persona. Conta anche a che età una persona ha cominciato a lavorare e quanti contributi ha versato: sembrerebbe quindi, ad esempio, che la proposta possa andare bene a magistrati e professoriuniversitari, ma non a chi ha cominciato a lavorare a 16 anni e ha avuto una carriera brillante che gli ha consentito di meritarsi una pensione dignitosa.
Rimane l’obiezione di fondo riguardo all’anziano pensionato che avrebbe fatto scelte diverse se avesse saputo per tempo il suo destino. Qui non c’è bisogno di chiamare in causa i diritti acquisiti; basta fare riferimento a valori cardine del nostro ordinamento, quali il principio di ragionevolezza o l’affidabilità e la credibilità dello Stato.
Si aggiunga un’altra considerazione. Il fatto che le pensioni sopra i 3.500 euro lordi, 2.500 netti, siano poche centinaia di migliaia riflette in larga misura decenni di storia segnata da evasione fiscale e contributiva di massa. Molti hanno pensioni bassissime perché non hanno pagato i contributi, ma hanno accumulato cospicui patrimoni che consentono loro una vecchiaia dignitosa. Colpendo le pensioni cosiddette d’oro e –in realtà– di bronzo, si colpisce quella minoranza di italiani, per lo più lavoratori dipendenti, che hanno pagato tasse e contributi per tutta la vita. E si crea ansia fra milioni di persone che non sanno se stanno sopra o sotto la soglia e hanno ragione di temere che un domani la soglia verrà abbassata per far fronte alle esigenze di cassa dello Stato.
È giusto dunque ringraziare l’Inps per il contributo che ha dato, utile a capire cosa si può e cosa non si può fare. Ora sappiamo per certo che per la gran massa di pensionati il ricalcolo contributivo non si può fare. Ma ringraziamo ancor di più il governo che ha avuto il coraggio di dire no a una proposta sbagliata che a prima vista si presentava come assolutamente popolare.
Ora sarebbe molto utile un supplemento di chiarezzaper tranquillizzare del tutto i pensionati e indurli a comportamenti di consumo improntati più alla fiducia che alla paura, come è giusto che facciano alla loro età e come è utile per la ripresa dell’economia.
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