ORA OCCORRE EVITARE IL GIOCO SISTEMICO PERVERSO PER CUI CHI ESCE DA UN PARTITO VIENE SQUALIFICATO COME MORALMENTE SPREGEVOLE DA CHI RESTA, E REAGISCE AGGRESSIVAMENTE SQUALIFICANDO A SUA VOLTA I PROPRI EX-COMPAGNI DI PARTITO
Intervista a cura di Claudio Cerasa, pubblicata sul quotidiano Il Foglio il 27 dicembre 2012
Ha scelto di candidarsi per l’Agenda Monti perché non si sente di garantire per la tenuta del Pd sulla linea della strategia europea dell’Italia per l’uscita dalla crisi. Professor Ichino, ci spiega esattamente cosa è successo con la stesura del programma di Monti?
Fin dal settembre scorso ho messo on line sul mio sito un documento intitolato “L’agenda Monti al centro della prossima legislatura”, scritto con Enrico Morando, che si proponeva di delineare i possibili contenuti di un memorandum programmatico su cui tutte le forze della maggioranza avrebbero dovuto e potuto impegnarsi per la prossima legislatura. Per sollecitare, in particolare, il Pd a compiere questo passo un gruppo di 15 parlamentari democratici ha tenuto due assemblee pubbliche, sempre per “L’Agenda Monti al centro della prossima legislatura”, rispettivamente il 20 luglio e il 29 settembre scorsi. È evidente che, per il capitolo sul lavoro, a quel documento lo staff di Mario Monti ha attinto largamente; ma in questo si è concretato soltanto un mio contributo indiretto, e tutto alla luce del sole, al memorandum pubblicato alla fine dal premier. Non possono proprio accusarmi di avere tramato nell’ombra.
Vuol dire che non ha visto il memorandum di Monti prima di domenica?
Per la precisione, ne ho vista in via riservata una bozza ancora molto grezza martedì 18 dicembre, poi quella definitiva domenica pomeriggio dopo la conferenza stampa; ma né martedì né domenica sono intervenuto a modificarne neppure una parola.
Dunque c’era già un discorso tra lei e Monti, in quell’ultima settimana.
Se è per quello, un discorso tra me e Mario Monti c’è da almeno quindici anni. E che Monti condividesse le mie proposte in materia di riforma del lavoro, lo aveva detto lui stesso nel suo discorso programmatico al Senato del 17 novembre 2011. Ma se l’accusa è di avere concordato con lui di nascosto la mia candidatura, questa è totalmente falsa. Tanto è vero che ancora venerdì e sabato scorsi Monti non aveva deciso se porre la propria candidatura a guidare il nuovo governo o pure no. E ricordo a tutti che non solo ho rifiutato fin dal 16 dicembre l’offerta di essere collocato nel listino dei “garantiti” del Pd, ma ho rinunciato a presentare la mia candidatura alle primarie dei candidati del Pd quando è scaduto il relativo termine, giovedì 20 dicembre, quando ancora neppure Monti sapeva se si sarebbe candidato o no. Comunque non riesco a sentirmi in colpa per avere mantenuto – e l’ho fatto lungo tutto quest’anno – un rapporto stretto di amicizia e collaborazione con il Capo di quello stesso Governo che fino a venerdì scorso il mio partito ha sostenuto in Parlamento.
Dunque lei non crede di aver tradito il Pd e anche Renzi per aver rinunciato a portare avanti una battaglia di minoranza nel partito?
Questa idea del “tradimento” corrisponde a una vecchia concezione del “partito come casa. chiesa, famiglia” che credo debba considerarsi ormai del tutto fuori corso. Su di un piano molto pià laico e pragmatico, in molti mi hanno sollecitato a mantenere nonostante tutto la candidatura nel Pd, ricordandomi che così si deve fare in un grande partito moderno e in un sistema bipolare: “ora sei in minoranza, ma quando i fatti ti avranno dato ragione diventerai maggioranza”. Conosco bene questo discorso, per averlo praticato, con alterne vicende, lungo quarant’anni di lavoro politico in seno alla sinistra. Senonché questo discorso vale in una situazione ordinaria, nella quale si può contare su qualche anno di tempo per le proprie battaglie politiche e la posta in gioco è di ordinaria amministrazione o poco più; lo stesso discorso non può valere in una situazione di emergenza grave, nella quale se i fatti ti danno ragione il Paese rischia di rompersi l’osso del collo. Oggi la posta in gioco è questa. Oggi il discrimine fondamentale della politica italiana è tra chi è convinto che la strategia migliore per uscire dalla crisi sia quella concordata con i nostri partner europei, e chi invece è convinto che proprio questa strategia sia la rovina del Paese. È su questo punto che nel Pd vivono due anime diverse.
Ma lei, come tutti quelli che hanno partecipato alle primarie del novembre scorso, ha firmato la Carta d’Intenti del centrosinistra, dalla quale dovrebbe sentirsi vincolato.
Quella Carta, però, era viziata anch’essa da un’ambiguità di fondo, e proprio sulla questione cruciale della strategia europea per l’uscita dalla crisi: era nata come professione di fedeltà agli impegni europei assunti dall’Italia, ma il giorno dopo la chiusura delle urne abbiamo sentito Nichi Vendola affermare che proprio quella Carta è invece “la pietra tombale” sui nostri impegni europei. Non è un equivoco da poco. Un testo politico che si presta a due letture tra loro opposte non può essere vincolante né in un senso né nell’altro. Per questo è espressione di cattiva politica, e come tale lo abbiamo denunciato fin dall’inizio. Proprio l’ambiguità di quel documento è all’origine dell’ambiguità che affligge oggi la coalizione di centrosinistra guidata da Pierluigi Bersani sul tema decisivo.
Cos’è che non riesce a digerire dell’agenda Bersani?
Ci sono molte cose su cui sono d’accordo, altre su cui ho qualche riserva. Ma quello che mi sembra grave è che Bersani non corregga esplicitamente il proprio responsabile nazionale per l’Economia, quando dice a Roma il contrario di quello che Bersani stesso dice in Europa ai nostri partner. Fassina dice che l’operato del governo Monti è l’adempimento di impegni sciagurati, irresponsabilmente assunti dal governo precedente; e che occorre immediatamente cambiare strada, chiedere la rinegoziazione di quegli accordi. Se davvero un nuovo governo di centrosinistra partisse in questo modo, taglierebbe l’erba sotto i piedi a Mario Draghi e a tutti quelli che in Germania hanno fatto sponda a Monti in quest’ultimo anno. L’Italia tornerebbe a pagare interessi altissimi sul proprio debito pubblico, rischierebbe di ricadere in una crisi economico-finanziaria grave e perderebbe un’occasione irripetibile di attivare un processo di allineamento ai migliori standard europei.
Si augura che i montiani del Pd seguano la sua strada?
Ci si può battere per tenere il governo italiano saldamente sul versante giusto rispetto allo spartiacque fondamentale sia restando nel Pd, sia sostenendo la nuova forza politica che sta nascendo intorno all’Agenda Monti. Stanti le contraddizioni che vedo nella linea del Pd, io credo che oggi il modo più efficace per conseguire l’obiettivo sia quest’ultimo. Credo comunque che sia una scelta da fare in modo laico, senza atti di fede e senza fatwe. Tenendo conto che le due forze politiche dovranno necessariamente collaborare tra loro nella prossima legislatura, per arginare il populismo antieuropeista montante. Bisogna, comunque, evitare che si inneschi il gioco sistemico perverso per cui chi lascia un partito viene squalificato come moralmente spregevole da chi nel partito resta, e a sua volta reagisce aggressivamente squalificando i propri ex-compagni di partito.
Non vede nell’operazione di Monti un’operazione troppo da vecchia Dc?
No. La nuova forza politica avrà un suo forte e chiaro statuto di laicità. Che ovviamente non significa indifferenza ai valori religiosi, né tanto meno ostilità ad essi. E questo si vedrà molto chiaramente fin dai prossimi giorni.
Lei è sempre stato un teorico della vocazione maggioritaria. Non vede una contraddizione nell’andare in un partito più piccolo?
Non sarà un partito più piccolo; e avrà anch’esso una vocazione maggioritaria. Secondo una bipartizione nuova, molto diversa rispetto a quelle del secolo scorso. E comunque aiuterà il Pd a migliorare, avendo un benchmark su cui confrontarsi molto più impegnativo rispetto a quello che ha avuto fin qui.
Monti è di sinistra anche se il Ppe lo ha “eletto” come proprio leader?
Se guardiamo la cosa con gli occhi dei giovani, delle donne, degli over 55 esclusi dal mercato del lavoro e di tutti gli outsider, sì: oggi l’Agenda Monti è sostanzialmente più dalla parte dei deboli e degli ultimi di quanto non sia il programma del Pd.
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