LA PROPOSTA DI SPERIMENTARE ALMENO IN PARTE IL MODELLO BRITANNICO PER IL FINANZIAMENTO DEGLI ATENEI, PRESENTATA DAI DUE QUOTIDIANI IN MODO DISTORTO, VA INVECE CONSIDERATA NELLA SUA INTEREZZA, SE SI VUOLE DISCUTERNE SERIAMENTE
Interventi di Andrea Ichino sul Manifesto (5 giugno 2011) e sul blog del Fatto Quotidiano, in replica ad altrettanti articoli sulla proposta contenuta nell’interrogazione parlamentare presentata il 18 maggio 2011 ai ministri dell’Economia e dell’Istruzione – Segue la replica di Roberto Ciccarelli sul Manifesto (6 giugno 2011)
INTERVENTO INVIATO AL FATTO QUOTIDIANO ( pubblicato sul blog del Fatto quotidiano)
Caro direttore,
su “il Fatto Quotidiano” del 26 maggio Francesca Coin descrive l’interrogazione parlamentare in tema di tasse universitarie e accesso all’educazione terziaria degli studenti meno abbienti, presentata il 18 maggio da un gruppo di senatori del PD e di altre formazioni politiche come ” … un tentativo nemmeno troppo pudico di pianificare l’indebitamento di massa di un’intera generazione in età pre-lavorativa al fine di esternalizzare su studenti e famiglie il finanziamento dell’università pubblica.”
Ovviamente Coin è liberissima di criticare la proposta, ma non di descriverla in modo gravemente fuorviante e incompleto ai suoi lettori. Poiché ho collaborato all’elaborazione della proposta, nell’ambito dell’Osservatorio sull’Università promosso dal Gruppo 2003, spero lei voglia consentirmi di illustrarne sinteticamente ai suoi lettori i veri contenuti e le potenzialità.
Innanzitutto, l’indebitamento oltre ogni limite ragionevole delle generazioni future è già una realtà nel nostro Paese proprio a causa di chi, come Francesca Coin, pensa che il denaro pubblico cresca sugli alberi. Purtroppo non è così. Lo Stato può stampare moneta, ma rischia di generare inflazione. Può aumentare le tasse, ma in Italia sono già altissime. Oppure l’unica altra soluzione è emettere debito. La proposta contro cui Francesca Coin si scaglia consiste in questo, ma non a spese di tutte le generazioni future. Solo a spese di chi può permetterselo e di chi avrà tratto beneficio dall’investimento in capitale umano che l’educazione universitaria consente. Ossia i ricchi di oggi, che, secondo la proposta, dovrebbero da subito pagare interamente i loro studi universitari, e i ricchi di domani che li pagheranno in forma differita.
Infatti, i proponenti chiedono innanzitutto di aumentare le tasse universitarie per gli studenti delle famiglie abbienti che attualmente pagano meno di quanto costi il loro addestramento. Può Francesca Coin indicare un solo motivo per il quale i figli della ricca borghesia italiana debbano poter studiare a spese della fiscalità generale e quindi soprattutto a spese dei poveri che pagano le tasse ma mandano con minor frequenza i figli all’università?
Per tutti gli altri studenti le cui famiglie non potrebbero permettersi di sostenere un aumento delle tasse universitarie che copra i costi, l’interrogazione parlamentare propone che lo Stato anticipi l’aumento, offrendo agli studenti stessi un prestito che dovrà essere ripagato solo se e quando lo studente, una volta laureato, raggiungerà un reddito sufficiente per ripagare il debito. Ripeto: solo se e quando!
In altre parole, gli studenti poveri il cui investimento in istruzione non avrà dato i frutti sperati, nulla dovranno rendere alla collettività. Ma per quale motivo gli studenti che invece raggiungeranno livelli di reddito elevati proprio grazie alla laurea conseguita con il prestito statale, non dovrebbero restituire alla collettività quanto ricevuto, seppur in quote diluite e con tassi di interesse di favore?
Se mai, il vero problema di questa proposta è che i mercati finanziari non credano alla bontà dell’investimento pubblico in capitale umano che essa consentirebbe. Proprio per questo la terza caratteristica rilevante è che una percentuale dei casi di default sul debito futuro sia coperta dalle università stesse con un sistema bonus-malus. Esse risulterebbero così responsabilizzate e avrebbero forti incentivi a migliorare la qualità degli insegnamenti impartiti. Dice Francesca Coin che “in questo modo gli studenti privi di mezzi, in quanto contraenti a rischio, dovranno essere selezionati con la massima cautela affinché il loro desiderio di formazione non vada a detrimento dello Stato.” Sarebbe forse bello poter mandare a Harvard tutti i poveri di mezzi, ma se Francesca Coin vuole farlo, deve dire dove concretamente trovare le risorse. In attesa fiduciosa che lei risolva il problema, preferisco evitare l’ipocrisia di dare a tutti un’università gratis ma di pessima qualità, perché questa è una truffa. Sono proprio gli studenti privi di mezzi quelli maggiormente interessati ad atenei ben finanziati, che funzionino meglio e possano offrire quell’ascensore sociale che manca nel nostro Paese. Forse Francesca Coin non sa che in Italia, nonostante istruirsi costi poco, la mobilità intergenerazionale è tra le più basse registrate nei paesi avanzati!
Andrea Ichino
andrea.ichino@unibo.it
31 maggio 2011
INTERVENTO SUL MANIFESTO (5 giugno 2011)
Caro direttore,
su “il manifesto” del 25 maggio Roberto Ciccarelli ha condannato senza appello la proposta contenuta nell’interrogazione parlamentare in tema di tasse universitarie e accesso all’educazione terziaria degli studenti meno abbienti, presentata il 18 maggio da un gruppo di senatori del PD e di altre formazioni politiche. Ovviamente liberissimo Ciccarelli di condannare la proposta, ma non di dimenticarsi di descriverla ai suoi lettori perché possano giudicare da soli. Poiché ho collaborato all’elaborazione della proposta, nell’ambito dell’Osservatorio sull’Università promosso dal Gruppo 2003, spero lei voglia consentirmi di illustrarne sinteticamente ai suoi lettori i veri contenuti e le potenzialità.
Della proposta, Ciccarelli dice solo, genericamente, che ha come fine l’aumento delle tasse universitarie. In realtà i proponenti chiedono che siano in primo luogo gli studenti delle famiglie più abbienti a pagare il costo dell’istruzione universitaria che ricevono. Esiste un solo motivo per il quale i figli della ricca borghesia italiana debbano poter studiare a spese della fiscalità generale e quindi soprattutto a spese dei poveri che pagano le tasse ma mandano con minor frequenza i figli all’università?
Per tutti gli altri studenti le cui famiglie non potrebbero permettersi di sostenere un aumento delle tasse universitarie che copra i costi, l’interrogazione propone che lo Stato anticipi l’aumento, offrendo agli studenti stessi un prestito che dovrà essere ripagato solo se e quando lo studente, una volta laureato, raggiungerà un reddito sufficiente per ripagare il debito. Ripeto: solo se e quando!
In altre parole, gli studenti poveri il cui investimento in istruzione non avrà dato i frutti sperati, nulla dovranno rendere alla collettività. Ma per quale motivo gli studenti che invece raggiungeranno livelli di reddito elevati proprio grazie alla laurea conseguita con il prestito statale, non dovrebbero restituire alla collettività quanto ricevuto, seppur in quote diluite e con tassi di interesse di favore? Non saranno forse loro i membri della borghesia abbiente del domani?
Tra l’altro, se per finanziare le università lo stato dovesse emettere debito, chi lo ripagherebbe sarebbero comunque le generazioni future. Non ritiene Ciccarelli che invece di caricare tutti i nostri nipoti di questo debito sia preferibile caricare quelli (e solo quelli) che da esso avranno tratto giovamento? Ossia i ricchi di oggi, che si devono da subito pagare interamente i loro studi universitari, e i ricchi di domani che li pagheranno in forma differita.
Se mai, il vero problema di questa proposta è che i mercati finanziari non credano alla bontà dell’investimento pubblico in capitale umano che essa consentirebbe. Proprio per questo la terza caratteristica rilevante della proposta, dimenticata da Ciccarelli, è che una percentuale dei casi di default sul debito futuro sia coperta dalle università stesse con un sistema bonus-malus. Esse risulterebbero così responsabilizzate e avrebbero forti incentivi a migliorare la qualità degli insegnamenti impartiti.
Ora giudichino i lettori del “manifesto”. Grazie
Andrea Ichino
andrea.ichino@unibo.it
11 maggio 2011
REPLICA DI ROBERTO CICCARELLI SUL MANIFESTO (6 giugno 2011)
Anche in questa risposta Andrea Ichino, che prima di occuparsi di università faceva l’economista, dimostra di volere restringere l’accesso agli studi al 4,72 per cento dei contribuenti che, al netto dell’evasione fiscale, denuncia un reddito di 30 mila euro. Dimentica di avere proposto di aumentare le tasse universitarie a 10 mila euro all’anno e, soprattutto, il fatto che saranno pochissimi gli studenti italiani – i più inoccupati d’Europa – capaci di raggiungere il reddito da lui favoleggiato per ripagare gli interessi sulle tasse versate (40 mila euro, vero Ichino?). Una simile assurdità non servirà a responsabilizzare la “borghesia abbiente” (che manda i figli a studiare all’estero), ma a punire i figli del ceto medio in crisi che già lavorano precariamente durante gli anni dell’università. Come altri “riformatori” bocconiani, anche Ichino finge che questo restringimento elitario dell’istruzione pubblica sarà il motore dell’ascesa sociale, mentre è solo un altro tassello per conservare caste e corporazioni e distruggere le residue tutele dello stato sociale a favore di forme assicurative private. Sono tutte prediche inutili che non meriterebbero risposta se non fosse che una decina di senatori del Pd – compresi professori ordinari come Pietro Ichino, fratello di Andrea, Tiziano Treu e Stefano Ceccanti – insieme ad altri di Fli, Udc e Api hanno firmato il 19 maggio un’interrogazione parlamentare che sposa le proposte del gruppo 2003. Il 9 giugno ci sarà a Roma una conferenza programmatica del Pd sull’università. Il segretario Bersani subirà l’opa lanciata dagli Ichino (Andrea e Pietro) sulla linea, timida e incerta del suo partito, e dirà di volere riformare l’università come ha fatto in Inghilterra il governo di destra di David Cameron? (Roberto Ciccarelli)