IN AMERICA LE SCUOLE VENGONO VALUTATE: QUELLE PEGGIORI, SE NON MIGLIORANO, VENGONO CHIUSE – SU QUESTO TERRENO IN ITALIA IL PARTITO DEMOCRATICO SI FA CONDIZIONARE TROPPO DAI SINDACATI
Articolo di Antonio Funiciello su Europa, 30 marzo 2011 – Sullo stesso tema v. ultimamente l’articolo di Andrea Ichino, Chi ha paura di dare un voto ai professori, e i suoi articoli precedenti reperibili nella sezione Scuola di questo sito; inoltre, sulla necessità di attribuire ai dirigenti scolastici più larghe prerogative manageriali, assoggettandoli a una responsabilità più stringente (che comporta anche la perdita del posto per cattiva performance), v. la mia intervista a del 31 marzo
La pochezza delle iniziative del governo italiano in tema di istruzione si misura meglio se rapportata alla travolgente campagna che il presidente Obama sta conducendo negli Stati uniti. Come pure la modestia che sulla scuola sconta lo slancio riformatore del Pd. In America in questo mese si festeggia l’Education Month.
Una vera e propria offensiva delle politiche dell’istruzione, esaltate da una campagna comunicativa condotta, da Obama e dai suoi uomini, scuola per scuola, oltre che su rete, radio e televisione.
Pochi giorni fa, in un discorso programmatico dell’Education Month in una scuola media di Arlington, in Virginia, Obama ha ribadito che mai i pur necessari tagli della sua amministrazione riguarderanno il settore scolastico, impegnandosi affinché il Congresso rinnovi il programma No child left behind prima dell’inizio del nuovo anno scolastico. Voluto dal suo predecessore George W. Bush, Nclb verrà anzitutto modificato con un aggiornamento degli standard precedentemente adottati; quindi reso più ambizioso, collegandolo all’altro programma Race to the top, copyright di Obama, che accorda finanziamenti aggiuntivi agli stati più meritevoli a livello accademico. Più soldi ai più bravi. L’ideazione di Race to the top data fine 2009; la vision di cui si fa portatore è stata così riassunta dal presidente americano: questa corsa verso l’eccellenza «non sarà basata sulla politica, sull’ideologia, o sulle preferenze di gruppi di interesse.
Piuttosto su un semplice principio: utilizzeremo i più affidabili dati disponibili per stabilire se uno stato è capace di soddisfare gli obiettivi di riferimento. E gli stati che superano gli altri saranno premiati con un finanziamento. Non tutti gli stati vinceranno e non tutti i distretti scolastici saranno contenti dei risultati. Ma i figli dell’America, l’economia dell’America e l’America stessa saranno migliori».
Non si può migliorare un sistema scolastico che perde colpi senza fare morti e feriti tra i suoi operatori: personale docente e non docente e manager scolastici. I programmi di Obama prevedono che le scuole peggiori vengano sì aiutate, ma in quanto riconosciute come “peggiori”; e il tempo loro concesso per uscire dall’inefficienza sarà limitato in rapporto alle performance medie. L’efficacia dell’approccio americano sta in un proposito ambizioso: tenere insieme premialità e investimenti ad hoc per i giovani studenti che soffrono le più varie condizioni di disagio e per gli insegnati che accettano la sfida di occuparsi di loro, con le penalizzazioni indirizzate ai manager e agli insegnanti improduttivi. E difatti i 300 miliardi di dollari stanziati come incentivi per i docenti, gratificano sia quelli che ottengono risultati migliori dalle loro scolaresche, sia quelli che s’impegnano in contesti di difficoltà sociale. Soccorre tutto ciò il fatto che in America i risultati degli studenti siano da molto tempo scientificamente testati, nel periodo che va dalla nostra terza elementare fino all’ultimo anno delle superiori. Il raggiungimento degli obiettivi prefissati (Annual measurable objectives) è valutato con test standardizzati che rilevano gli adeguati progressi annuali (Adeguate yearly progress). S’intende che una scuola fallisce se non raggiunge obiettivi e non registra progressi anche per una sola categoria di studenti (neri, ispanici, basso reddito, disabili). Dopo quattro anni di mancati progressi il distretto scolastico prende provvedimenti per sostituire lo staff scolastico; dopo cinque, la scuola è segnalata come struttura da ristrutturare; dopo sei, da chiudere.
In America chiudere una scuola che non funziona non è peccato. Togliere il lavoro a gente che non sa fare quel lavoro non è peccato. È peccato condannare generazioni di studenti ad avere insegnanti e dirigenti scolastici che non sanno fare il loro mestiere. Ed è un peccato intollerabile per le sorti individuali di ogni singolo studente e per l’interesse collettivo di una nazione che non intende smettere di crescere, puntando tutto sull’intelligenza e i talenti dei suoi giovani concittadini. Un altro pianeta rispetto alla mancanza di visone politica che sconta il ministro Gelmini e l’indifferenza che verso la scuola caratterizza da sempre l’atteggiamento del premier Berlusconi, che si occupa di istruzione solo per insultare i docenti.
Ma un altro pianeta anche nei confronti della sindacalizzazione dell’offerta politica del Pd, indisponibile a fare seriamente i conti con le basse performance delle nostre scuole (vedi dati Pisa), l’inadeguatezza dei dirigenti scolastici e l’inefficiente sistema di reclutamento degli insegnanti. Voteranno pure tutti per il Pd, ma continuare a occuparsi solo di loro e lasciarsi dettare la linea dalle sigle sindacali che legittimamente difendono i loro interessi particolari, distoglie l’attenzione dall’interesse generale dell’Italia e porta pochi voti.
Molti, molti meno di quelli che si potrebbero conquistare elaborando un’offerta politica a misura dei genitori italiani, che reclamano a gran voce scuole migliori. E i genitori sono un po’ più numerosi degli insegnanti.